La vergogna è un’emozione secondaria, che si sviluppa con l’interazione sociale con gli altri e con le regole del contesto in cui viviamo. Se ci pensiamo, la vergogna è qualcosa che abbiamo conosciuto a un certo punto della nostra vita, che non ci portiamo dietro da sempre come bagaglio personale; allo stesso modo, osservando i nostri bambini, possiamo notare come questi inizino a provare imbarazzo o vergogna solo in un secondo tempo rispetto ad altre emozioni (per esempio, rabbia o tristezza), che vengono appunto considerate emozioni primarie.
Riconoscere la vergogna
Anche la vergogna, come le emozioni primarie, è fatta di cambiamenti fisiologici e da alcuni pensieri tipici. Tra i primi, possiamo considerare la sensazione di rossore in volto, la voglia di ritirarsi o di scomparire dal contesto che ci sta osservando o ci sta facendo vergognare, il desiderio di coprirsi e non rendersi visibili dagli altri.
Possiamo anche dare diversi nomi alla vergogna, come imbarazzo, mortificazione, umiliazione. Alcune persone che provano vergogna in modo più frequente possono essere solite descriversi come persone timide, ritirate, introverse, sensibili.
Quali sono invece i pensieri che tipicamente accompagnano la vergogna e l’imbarazzo? Questi pensieri, o valutazioni, comprendono alcuni nuclei tematici tipici, che richiamano a vissuti di esclusione e giudizio. Per esempio, la convinzione che le altre persone, importanti per noi, ci rifiuteranno o ci abbiano rifiutato in un determinato contesto o avvenimento; giudicare noi stessi come inferiori per qualche caratteristica considerata da noi o dal gruppo come importante per fare parte del gruppo stesso; effettuare paragoni con le altre persone per noi importanti e uscirne sempre (a nostro avviso) sconfitti, vedendoci come perdenti o meno validi.
Inoltre, ci sono una serie di concezioni di noi stessi, di giudizi su di noi, che possono diventare più radicati e più pregnanti e portarci a vivere in una condizione di imbarazzo e vergogna generalizzata, non relativa a un singolo episodio. Tra queste considerazioni, per esempio, c’è l’idea di essere persone cattive in toto, di essere sbagliate e non meritevoli di amore e di cure da parte degli altri; possiamo avere la sensazione di essere persone difettose, su tutta la linea o in ambiti particolari (per esempio, possiamo considerarci come persone molto in gamba da un punto di vista lavorativo ma non degne e pertanto non amabili da un punto di vista relazionale e affettivo). Di nuovo, la nostra vergogna può focalizzarsi su qualche contenuto specifico, per esempio considerando alcune parti del nostro corpo come vergognose e non presentabili, oppure possiamo considerare vergognosa e non presentabile la nostra persona, arrivando a credere di essere un fallimento o qualcosa di sbagliato. Infine, possiamo vergognarci per qualcosa che sentiamo o pensiamo, diventando quindi molto sospettosi nel condividere le nostre emozioni e i nostri pensieri con altri, provandone, appunto, vergogna. Un esempio tipico è l’insegnamento che, soprattutto in anni passati, era riservato ai bambini di sesso maschile, per cui “non si può piangere”, “piangere è da femminucce”, “piangere è una cosa vergognosa”.
Le situazioni della vergogna
Come dicevamo, ci sono alcune situazioni che più tipicamente di altre ci portano a provare vergogna, e a comportarci di conseguenza. Tra queste, essere rifiutati dagli altri, venire criticati per qualcosa che abbiamo o non abbiamo fatto, fallire in qualcosa in cui ci sentivamo (o ci sentiamo) competenti. La vergogna si amplifica se questi avvenimenti si presentano di fronte a un “pubblico”, in quelle situazioni per esempio in cui veniamo derisi davanti a tutti per una nostra caratteristica o per qualcosa che abbiamo detto o fatto, quando veniamo ripresi o rimproverati di fronte ad altri, a maggior ragione se sono altri significativi (per esempio, i compagni di classe o gli amici nel periodo dell’adolescenza; i colleghi di lavoro nell’età adulta). Infine, possiamo percepire vergogna anche senza nessun intervento da parte di altri, per esempio confrontando in prima persona noi stessi con gli altri (o alcune parti di noi con le rispettive parti altrui) e uscirne, a nostro avviso, perdenti; o ancora, possiamo vergognarci per aver rivelato a qualcuno qualcosa di segreto e importante, che ci fa sentire deboli, fragili, esposti e vulnerabili rispetto a questa persona.
Come rispondiamo alla vergogna
Solitamente il primo impulso in situazioni di vergogna, a maggior ragione se ripetute, è la fuga dalla situazione nel momento stesso e l’evitamento della stessa situazione in futuro. Toglierci dal contesto che ci ha fatto provare vergogna ci consente di sperimentare un sollievo immediato, così come poter stare lontano da quel contesto in futuro ci fa stare più tranquilli e ci fa sentire meno esposti. Questa stessa condotta di evitamento può essere messa in atto nei confronti delle persone da cui ci siamo sentiti criticati o giudicati, e che hanno stimolato appunto la nostra vergogna.
Esistono anche altre risposte di fronte alla vergogna, che possono essere più utili e meno problematiche, come chiedere scusa per quello che abbiamo fatto e che ci ha fatto vergognare, oppure chiedere chiarimenti di fronte a comportamenti degli altri che ci hanno spinto verso la vergogna, nostro malgrado.
Quando la vergogna va in terapia
Come tutte le emozioni, anche la vergogna non è un’emozione di per sé problematica o patologica. Anzi. Tutte le emozioni hanno motivo di esistere e ci consentono di capire meglio cosa sta succedendo fuori e dentro di noi. Certo è che, una volta compresa la causa della vergogna, questa può portarci a mettere in atto diversi tipi di comportamenti (come abbiamo detto precedentemente). Se chiarirsi o scusarsi (quando ve ne sia la necessità e siano presenti le condizioni) può essere un modo per comprendere ancora meglio quanto avvenuto, è anche vero che l’evitamento e la fuga sono spesso comportamenti più “attraenti” quando proviamo vergogna.
L’evitamento delle situazioni o delle persone che hanno stimolato in noi l’emozione di vergogna, però, non è sempre possibile per lungo tempo. Se, per esempio, sentiamo vergogna a seguito di un episodio lavorativo, oppure addirittura nei confronti di un collega o del nostro superiore, spesso è complicato pensare di poter stare a casa dal lavoro per molto tempo. È qui che sopraggiunge un’emozione che spesso si accompagna alla vergogna e che può causare difficoltà: l’ansia. Vorrei evitare il contesto che mi ha fatto stare male, ma questo non mi è possibile, quindi lo affronto con una buona dose di ansia, cercando di anticipare ogni possibile difficoltà e prefigurandomi lo scenario a cui sto andando incontro. L’effetto collaterale dell’ansia anticipatoria è che questa non ci consente di essere obiettivi e tende a mostrarci il lato peggiore e più disastroso della cosa. È così che l’obiettivo con cui cerco di anticipare possibili conseguenze negative (stare più tranquillo e affrontare la situazione con più calma) si trasforma nell’opposto: metto in atto un monitoraggio continuo della condizione che mi ha messo in difficoltà in precedenza, vedo prevalentemente scenari negativi e catastrofici davanti a me e mi blocco nella paura che quanto accaduto si possa ripetere. È in questo caso che la vergogna va in terapia, spesso sotto forma di ansia sociale (o fobia sociale), con lo scopo di ricercare un aiuto per potersi sbloccare dalla paura di essere nuovamente umiliati o ridicolizzati, e poter così affrontare di nuovo le situazioni o le persone temute. È molto importante che, una volta compreso che non stiamo vivendo una vergogna passeggera ma che ci stiamo bloccando su aspetti di vita importanti, abbiamo la possibilità di chiedere un aiuto adeguato per poter tornare a affrontare questi aspetti in modo propositivo.