Il costrutto del perfezionismo ha sempre avuto molta attenzione nel panorama della ricerca in psicologia. Se comunemente viene definito come la “tendenza a fissare una misura di perfezione ideale al proprio agire”, i dizionari ne sottolineano subito l’aspetto disfunzionale, indicandone l’accezione psicopatologica.
Il perfezionismo viene spesso associato a caratteristiche positive: se pensiamo al contesto lavorativo, per esempio, essere dei perfezionisti spesso comporta conseguenze che risultano funzionali. Il capo ci reputa persone affidabili, responsabili e efficienti, i colleghi ci chiedono consigli o suggerimenti, potremmo anche ricevere premi o promozioni per il nostro perfetto operato. Tali ripercussioni rinforzano e mantengono la nostra tendenza al perfezionismo. La controparte può tuttavia risultare molto gravosa: ci sentiamo costantemente sotto pressione, non siamo mai pienamente soddisfatti del nostro lavoro, facciamo ore di straordinari per sentirci “a posto” con noi stessi. Gli stessi standard elevati possono essere anche applicati alle persone che ci circondano, generando difficoltà a livello relazionale.
Due studiosi (Hewitt e Flett, 1991) si sono occupati di scandagliare il costrutto e hanno evidenziato alcune caratteristiche.
Standard irrealistici e sforzi per raggiungerli
I perfezionisti non puntano a svolgere nel migliore dei modi compiti anche semplici. Il loro obiettivo si sposta sempre più in alto rispetto alla media: se gli viene assegnato un compito poco articolato, essi si impegneranno per renderlo maggiormente elaborato, più complesso, al fine di stupire il committente o cercare di essere profondamente soddisfatti. Spesso con scarso risultato. Nei prossimi punti capiremo perché.
Attenzione selettiva agli errori
La spinta al perfezionismo induce la fissazione del focus attentivo sulla eventuale presenza di errori, allo scopo di evitarli o correggerli immediatamente durante la performance. Avere l’attenzione focalizzata sugli errori implica non solo una scarsa considerazione le parti positive e funzionali del nostro compito, ma determina spesso anche la perdita di una visione di insieme. Per questo motivo un articolo, scritto con una complessa sintassi e un linguaggio articolato nelle singole frasi, può risultare nell’insieme poco chiaro e privo di un filo logico che colleghi introduzione, svolgimento e conclusione.
Interpretazione degli errori come indicatori di fallimento e credenza che, a causa di essi, verrà persa la stima degli altri
Diretta conseguenza del punto precedente è la convinzione che ogni errore sia simbolo di un imperdonabile fallimento. Questa idea porta i perfezionisti a non tollerare di poter commettere alcuno sbaglio, sia sul lavoro che nella vita privata. Giocoforza risulta difficile poter “imparare dai propri errori” e trovare la motivazione giusta per migliorarsi. È molto più comune per chi è perfezionista vivere una propria mancanza come un totale disastro e pensare di avere investito a lungo energie in un ambito in cui, in realtà, non potrà mai avere successo. Per esempio, una critica subita per un progetto lavorativo buono, ma non perfetto, può portare il perfezionista a credere di aver sbagliato tutto nella vita, di non aver scelto la professione giusta o di essere un totale incompetente. Collegato a questo si riscontra la credenza che sbagliare implichi perdere la stima degli altri, come se la svalutazione globale che la persona imputa a se stessa sia universalmente condivisa da parte di tutti quelli che la circondano.
Autovalutazioni severe e tendenza ad incorrere in un pensiero tutto o nulla, dove i risultati possono essere solo un totale successo o un totale fallimento
Giudicare se stessi in base a un proprio comportamento ci obbliga a metterci in discussione ogni azione che compiamo. Spesso uno dei risvolti del perfezionismo è proprio la tendenza a giudicare se stessi, nella propria totalità, sulla base del singolo risultato ottenuto. Ciò comporta la sensazione di essere costantemente sotto pressione, di convivere con un giudice severo pronto a emettere sentenze in ogni circostanza.
Dubbio sulla capacità di portare a conclusione un compito in modo corretto
Nel momento in cui la nostra attenzione è costantemente focalizzata sulla possibilità di commettere degli errori, risulta difficile poter credere nella propria competenza rispetto a un compito assegnatoci. A ogni decisioni in merito alla performance da compiere, il perfezionista analizza e scandaglia tutti i possibili scenari alternativi che si possono presentare, al fine di compiere la scelta migliore in assoluto. Quando il perfezionismo risulta eccessivo, tali scenari possono risultare estremizzati, catastrofici e incutere paura. La conseguenza può essere quella di rimanere bloccati, evitando di mettersi in gioco in nuovi contesti per il timore esagerato di vivere un fallimento.
Tendenza a credere che gli altri significativi abbiano aspettative elevate
Le aspettative elevate che il perfezionista si pone possono essere attribuite anche agli altri. In alcuni ambiti questo può essere vero: se siamo soliti svolgere in modo perfetto i compiti che ci vengono assegnati, il nostro responsabile al lavoro potrebbe effettivamente aspettarsi da noi una performance ineccepibile. Tale credenza può essere applicata anche nell’ambito della vita privata, generando ipotesi non sempre collegate a dati di realtà. Se pensiamo ai nostri affetti, per esempio, è molto più realistico credere che i nostri genitori vogliano il nostro bene e non per forza avere dei figli perfetti. Tuttavia, nel momento in cui ci muoviamo nella quotidianità con l’idea di dover sempre essere perfetti, questa ipotesi realistica può lasciare spazio alla convinzione di non essere abbastanza nemmeno per le persone che ci conoscono da tempo e che ci dimostrano ogni giorno la loro vicinanza.
Timore delle critiche
Quest’aspetto, ultimo elencato, ma non meno importante, permea costantemente la vita dei perfezionisti. Gli alti standard che il perfezionismo impone vengono riflessi nei giudizi degli altri e ogni critica può essere il segno di un errore, di uno sbaglio, che implica un fallimento. Per questo motivo si può riscontrare la propensione a leggere in maniera negativa anche commenti neutri fatti da altre persone. Una semplice osservazione, posta anche in modo costruttivo, viene interpretata come un giudizio negativo che investe la globalità della persona.
Desiderare di essere perfetti non è un elemento che, preso da solo, implica di per sé obbligatoriamente un disagio. Può risultare un fattore di rischio se unito a altri aspetti che lo rendono l’unica scelta possibile per il soggetto, senza lasciare spazio per scegliere di abbassare in determinate circostanze i propri standard, senza per questo vivere sentimenti di colpa o fallimento.