Succede spesso che si arrivi a richiedere un aiuto terapeutico con in testa l’obiettivo di “spegnere” qualche emozione fastidiosa. Capita per esempio per le fobie, in cui vorremmo tanto eliminare la paura, come per la depressione, in cui pensiamo che la soluzione possa essere quella di togliere la tristezza e la disperazione. Con l’idea di sentire troppo, di essere persone eccessivamente sensibili, come a chiedere a un chirurgo di tranciare i recettori del dolore, chiediamo alla terapia e a noi stessi di non sentire più il dolore che ci ha fatti ammalare. Ma se non fosse l’emozione a farci ammalare, bensì la nostra reazione a essa? E prima ancora, se queste emozioni sono così fastidiose e dannose, come mai ce le siamo portate dietro nel viaggio evolutivo che ha portato la specie alla sua versione attuale? Insomma, a cosa servono le emozioni?
Le emozioni ci comunicano qualcosa
Quando ci emozioniamo percepiamo un insieme di segnali corporei e di reazioni fisiologiche che ci forniscono informazioni importanti su una situazione. Quante volte, per esempio, abbiamo la sensazione “di pancia” che una situazione non ci piaccia? Quante volte sentiamo che c’è qualcosa nella persona che abbiamo di fronte che non ci torna del tutto? Allora in queste situazioni restiamo più guardinghi, ci diamo più tempo per studiare cosa succede dentro di noi e quale aspetto dell’interazione o dell’altro abbia scatenato in noi quella sensazione brutta. Spesso non sapremmo dire a parole cosa non va, ma “qualcosa non torna”. La stessa cosa succede per le emozioni più disturbanti come la paura, l’ansia, la tristezza o la rabbia: ci comunicano tutte qualcosa, sono segnali importanti che, se decodificati nel modo appropriato, aumentano le informazioni su cui possiamo contare per decidere come comportarci. Per questo, pensare di vivere una vita senza ansia o senza paura ci metterebbe in estrema difficoltà, perdendo un importante segnalatore di pericolo e rendendoci, in ultima analisi, vulnerabili e sprovvisti. In questo senso, possiamo pensare alle emozioni come alle spie luminose dell’automobile: nessuno è contento quando si accende la spia del guasto al motore, ma questa ci fornisce importanti informazioni a partire dalle quali possiamo per esempio cercare un rimedio (o un meccanico).
Le emozioni comunicano qualcosa agi altri
Oltre che a noi stessi, le emozioni comunicano agli altri come stiamo. La componente espressiva delle emozioni, soprattutto, parla per noi, così come il linguaggio non verbale, la nostra postura e il nostro tono della voce. Per questo, per esempio, è più difficile mascherare un’emozione di forte intensità: possiamo nascondere una live preoccupazione ma non un momento di forte ansia. Se da un lato il fatto che gli altri possano in parte leggerci può spaventarci e farci sentire esposti, è anche vero che spesso questo consente a chi ci sta intorno di capire aspetti che forse neanche noi abbiamo ancora decodificato così bene, e nel caso di aiutarci quando noi non siamo capaci di chiederlo.
Le emozioni ci spingono ad agire
Oltre alle parole, alle espressioni fisiche e alle sensazioni somatiche, le emozioni comprendono anche gli impulsi ad agire in una certa direzione. Proviamo a pensare a quello che succede quando percepiamo un pericolo imminente, come quando sentiamo una scossa di terremoto. L’emozione che sentiamo è probabilmente la paura, ma prima ancora di ragionare sulla cosa migliore da fare ci ritroviamo a muoverci, a spostarci verso l’uscita o verso una posizione di sicurezza. Difficilmente agiremo sulla base di un’attenta e ragionata analisi dei pro e dei contro, ma ci troveremo a muoverci sulla base dell’impulso, dell’istinto di sopravvivenza che ci fa percepire, prima di qualsiasi ragionamento, che se stessimo fermi dove siamo saremmo in forte pericolo. Anche questa è una delle funzioni delle emozioni: spingerci ad azioni, abbreviando i nostri tempi di reazione soprattutto quando non c’è tempo per ragionare per bene sulle cose. Nel lungo termine, inoltre, le emozioni funzionano da segnali verso un cambiamento o un movimento reale o metaforico, dicendoci che la posizione attuale non ci soddisfa o non ci fa stare bene.
L’emozione o la nostra reazione davanti all’emozione? Questo è il problema
Se le emozioni sono utili e hanno motivo di essere, perché allora a volte ci mettono in difficoltà? È il caso di spostare lo sguardo dall’emozione stessa a quello che succede in noi subito dopo: che reazione abbiamo di fronte a questa emozione? Come la valutiamo? Cosa pensiamo di noi stessi per aver avuto quella emozione? E ancora, come ci comportiamo una volta che la spia della nostra macchina emotiva si è azionata?
Davanti alla lucina che si accende, noi possiamo fare tante cose: possiamo spaventarci, pensando che la situazione sia pericolosa, e in questo modo entrare in una reazione di allarme che ci manda in confusione. Possiamo metterci a pensare che siamo degli imbecilli, che se la spia si è accesa è colpa nostra perché non abbiamo fatto tutti i controlli del caso, spostando la nostra attenzione dal problema reale al nostro rimuginio (e in ultima analisi non risolvendo il problema). Possiamo valutare la spia come messaggio di qualcosa di non riparabile, rassegnandoci e non provando neanche a risolvere la situazione. Possiamo arrabbiarci con il nostro partner, che ci ha messo in questa brutta situazione non controllando abbastanza lo stato dell’auto, di nuovo spostando la nostra attenzione e le nostre risorse dal problema reale alle possibili colpe. Allo stesso modo, quando per esempio sentiamo ansia, possiamo spaventarci, entrando in uno stato di allarme che non ci aiuta a restare lucidi; possiamo darci degli stupidi perché non dovremmo avere ansia, incolpando noi stessi e biasimandoci per la nostra emozione; possiamo rassegnarci a essere in ansia per sempre, aggiungendo all’ansia emozioni di tristezza e senso di impotenza; infine, possiamo arrabbiarci con la situazione che ci ha preoccupati, con l’altro o con le contingenze. Tutte queste reazioni, se da una parte sono comuni, nel momento in cui diventano pervasive possono essere la caratteristica che davvero porta alle difficoltà emotive. Se ogni volta che vado in ansia, per esempio, mi spavento dell’ansia stessa, facilmente instaurerò un circolo vizioso che non mi permetterà di tornare allo stato di calma in modo autonomo, e mi potrà portare a richiedere un aiuto di tipo psicologico o farmacologico. Quindi, ancora una volta, non è tanto l’emozione di per sé a essere problematica, quanto il modo in cui vi reagisco. Come diceva Jack Sparrow in Pirati dei caraibi, “Il problema non è il problema. Il problema è il tuo atteggiamento rispetto al problema”.