Nel mondo della Psicologia e della Psicoterapia esistono ancora molti luoghi comuni e falsi miti; uno dei più diffusi è quello di pensare che rivolgersi a uno psicoterapeuta significhi essere matti o vicini a perdere la ragione. A causa di questo pregiudizio sociale molte persone, pur vivendo una condizione di sofferenza psicologica, aspettano a lungo prima di rivolgersi a uno specialista, nella speranza di “farcela da soli”. Accanto a questo falso mito, infatti, vi è l’idea che superare con le proprie forze un periodo difficile sia sinonimo di forza di volontà, mentre chiedere aiuto a uno specialista significhi al contrario essere deboli o non sufficientemente sani di mente. Le persone che si lasciano condizionare da questo pregiudizio possono arrivare a chiedere una consulenza di nascosto, con il timore di essere scoperti e giudicati negativamente dagli altri.
Da dove nasce questo luogo comune?
Nel linguaggio comune il matto è colui che, a causa di una condizione psichica invalidante, perde il contatto con la realtà e diventa incapace di agire in modo congruo alle norme sociali. L’idea che solo i “matti” debbano essere curati ha origini antichissime; la figura del matto nacque nell’età classica e assunse forme diverse a seconda del periodo storico. Nel Medioevo il folle era considerato colui che incarnava il demonio; per questo motivo spesso i “matti del villaggio” erano destinati al rogo o all’esclusione sociale. Nell’età del Rinascimento il concetto di follia si trasformò in una condizione sociale privilegiata, poiché la condizione di follia poteva permettere di accedere a una conoscenza più approfondita del sapere e dell’esistenza. In tutte le epoche storiche furono considerati folli tutti coloro che non perseguivano le norme in vigore, quindi tutte le forme di deviazione comportamentale (rapinatori, vagabondi, malati di mente, adultere, omosessuali) venivano allontanate dalla comunità e inserite nei manicomi, dove prevaleva un regime di vigilanza e limitazione della libertà, con condizioni non molto diverse dalle quelle carcerarie. Con il passare del tempo si diede sempre più importanza alla cura della malattia mentale, che sembrava comunque ristretta alle persone che non erano in grado, per privazione o mancanza di giudizio, di condurre una vita normale all’interno della società. Le forme di cura dell’epoca (elettroshock, coma insulinico, impacchi con il ghiaccio), oltre a essere particolarmente invasive, avevano lo scopo di sedare i pazienti senza una reale speranza di guarigione. La scoperta degli psicofarmaci a metà degli ’50 rivoluzionò il mondo della medicina in ambito psichiatrico e vennero approfonditi gli studi nell’ambito della Psicopatologia. Contemporaneamente, si diversificarono i vari approcci psicoterapeutici, tra i quali ricordiamo come maggiori esponenti nel panorama internazionale la psicoanalisi di Freud e la Terapia cognitivo-comportamentale di Beck.
L’attuale stato dell’arte sulla malattia mentale
La riforma Basaglia del 1978 ha decretato ufficialmente la chiusura dei manicomi; esistono tuttavia luoghi di cura di tipo residenziale o semi residenziale che accolgono persone in condizioni di grave sofferenza psichica tale da impedire il mantenimento delle autonomie di vita quotidiane. Alte situazioni in cui può essere previsto un regime di ricovero sono ad esempio la depressione grave, stati di agitazione incontrollabile, scompensi psicotici. Il periodo di degenza viene valutato dagli specialisti in base alla gravità della sintomatologia.
La nascita di orientamenti psicologici diversi e gli studi mirati a comprendere la sofferenza psichica hanno permesso di mettere in cornice numerosi quadri clinici e di delineare per ciascuno di essi i sintomi specifici e il tipo di trattamento più efficace. Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali è il testo di riferimento per psichiatri e psicologi, che fornisce le indicazioni per orientare lo specialista nella comprensione dei disturbi e per formulare un’ipotesi diagnostica. All’interno del manuale sono compresi diversi disturbi, tra cui i disturbi d’ansia, la depressione, i disturbi da attacchi di panico, l’abuso di sostanze, i disturbi comportamentali, i disturbi del sonno. La Psichiatria è una branca della medicina che si occupa della sofferenza psichica dal punto di vista psicofarmacologico; in certe situazioni la gravità dei sintomi o la condizione di cronicità possono ostacolare il progresso del percorso psicoterapeutico, per cui può essere utile chiedere un supporto farmacologico; la Psicoterapia invece è una branca della Psicologia che si occupa di delineare le tecniche terapeutiche utili per guidare il paziente in un percorso di rilettura dei propri schemi disfunzionali e nella ricerca di modalità di funzionamento più efficaci. Se tutte le persone che soffrono o hanno sofferto di questi disturbi sono da considerare matte, possiamo logicamente ritenere che il mondo sia pieno di folli. Provare intensa ansia o avere un attacco di panico, infatti, è un’esperienza molto comune, così come vivere esperienze particolarmente stressanti (la fine di una relazione, un lutto, etc.) con vissuti emotivi intensi e prolungati che generano sofferenza psicologica. Avere un disturbo psicologico quindi non significa essere matti, significa avere una sofferenza che interessa l’area di funzionamento della nostra mente, così come accade alle altre parti del nostro organismo. Andare dallo psicoterapeuta significa rivolgersi a un professionista esperto, che possiede una competenza specifica nella cura delle problematiche relative alla sfera mentale, cognitiva ed emotiva.
Psicoterapia: quando è indicata
Il trattamento psicoterapeutico è indicato in tutte quelle condizioni in cui la sofferenza psicologica ostacola il raggiungimento o il mantenimento dello stato di benessere desiderato Non è necessario quindi avere un disturbo conclamato, ma anche situazioni di stress, di difficoltà nelle relazioni o nel raggiungimento dei propri obiettivi possono migliorare grazie a un intervento di psicoterapia. La Psicoterapia aiuta a fronteggiare le situazioni di crisi perché ha come scopo generale quello di modificare gli schemi rigidi di comportamento che possono condurre a modi disfunzionali di agire o di pensare. Chi si rivolge a uno psicoterapeuta in generale non solo non è matto, ma è anche consapevole di vivere una condizione di sofferenza emotiva.
Riassumendo, nel linguaggio psicologico il concetto di malattia mentale fa riferimento a specifiche condizioni di sofferenza psichica che determinano una difficoltà nel raggiungimento dello stato di benessere desiderato. Il disagio emotivo può essere determinato sia dalla presenza di una malattia mentale, sia da situazioni di vita o da modi di pensare che ostacolano questo naturale processo di adattamento. Rivolgersi a uno Psicoterapeuta non significa essere matti, ma significa chiedere un aiuto competente per migliorare il proprio benessere psicologico.
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